Immagini digitali fisse.

Dividiamo le immagini digitali fisse in due famiglie:
– le immagini bitmap (o raster), ossia le immagini fotografiche
– le immagini vettoriali, ossia le illustrazioni

Immagini bitmap: caratteristiche

Sono caratterizzate dal fatto di essere scomposte in una matrice o griglia di punti che le compongono (picture elements da cui pixel).
Ad esempio se una immagine è 200×100 si intende che ha duecento pixel per riga e cento per colonna.
Ciascuno di questi pixel può essere “spento” ossia nero, oppure acceso di un determinato colore.

Le immagini bitmap, essendo memorizzate come sequenze di pixel, occupano tanto più spazio in memoria quanto più sono grandi (ovvero quanto più grande è il numero di pixel che le compongono).

Una delle estensioni più comuni per le immagini digitali in formato bitmap è jpg (si tratta di un formato compresso lossy, di cui parliamo nell’articolo compressione dati: algoritmi lossless e lossy).

Fra le principali tipologie di software per l’elaborazione di immagini digitali fisse ci sono i software per l’elaborazione di immagini bitmap/raster (creazione e fotoritocco). I software di riferimento sono Adobe Photoshop oppure Gimp.

Immagini bitmap: la profondità di colore

La profondità di colore determina quanti colori si hanno a disposizione per una certa immagine.

Ad esempio:

  • se una immagine ha una profondità di colore di 1 bit, i suoi pixel potranno essere o neri o bianchi (difatti il numero di colori si ottiene dalla potenza con base 2 ed esponente la profondità di colore, in questo caso 21=2 colori)
  • se una immagine ha una profondità di colore di 2 bit si avranno 22=4 colori
  • se una immagine ha una profondità di colore di 4 bit si avranno 24=16 colori
  • se una immagine ha una profondità di colore di 8 bit si avranno 28=256 colori (come ad esempio i cosiddetti “toni di grigio”)
  • se una immagine ha una profondità di colore di 24 bit si avranno 224=16777216 colori (i 16 milioni di colori “di Windows”); questi 24 bit vengono per la precisione impiegati 8 bit (e dunque 28=256 sfumature) per il rosso, 8 bit (256 sfumature) per il verde, 8 bit (256 sfumature) per il blu; la combinazione di una delle possibili 256 sfumature di rosso, di una delle possibili di verde e di una delle possibili di blu permette di arrivare appunto a 16 milioni di colori.

Immagini bitmap: metodi e spazi colore

Questo metodo (o modello) per generare i colori è usato dai monitor dei computer e dai display del telefono ed è detto di sintesi tricromica additiva (RGB) nel senso che per passare dal nero (0 rosso, 0 verde, 0 blu) al bianco (255 rosso, 255 verde, 255 blu) devo aggiungere colore.

Per l’RGB (R=Red, G=Green, B=Blue) abbiamo parlato di colore ma è più corretto dire “luci”, definendo la luce rossa, la luce verde e la luce blu come luci fondamentali.

Per ogni metodo (ad esempio RGB) possono esistere diversi spazi colore, ossia implementazioni di quel metodo di colore (ad esempio sRGB o Adobe RGB, entrambi basati sul “teorico” RGB). Va aggiunto che spesso, per semplicità, ci si riferisce direttamente a RGB (o a CMY) come spazio colore.

Il metodo usato invece dalla stampante (e in pittura) è basato sui colori fondamentali o colori primari che sono il Cyan, il Magenta e lo Yellow ed è detto di sintesi tricromica sottrattiva (CMY) nel senso che per passare dal nero (255 Cyan, 255 Magenta, 255 Yellow) al bianco (0 Cyan, 0 Magenta, 0 Yellow) è necessario togliere colore.

Da citare anche il metodo HSB (Hue, Saturation, Brightness) dove il colore viene definito solamente dalla coordinata H, nello specifico:

  • Hue (tonalità) è la gradazione di colore,
  • Saturation (saturazione o purezza) è l’intensità di una specifica tonalità di colore,
  • Brightness (brillanza o luminosità) è la quantità di luce che appare e viene percepita.

Immagini bitmap: la risoluzione dell’immagine

La qualità di una immagine bitmap dipende anche dal valore della “densità” dei punti che la compongono, che è detta risoluzione dell’immagine. Nel momento in cui questa viene stampata si parla ad esempio di DPI (Dots Per Inch, ossia punti per pollice, dove 1 inch = 2,54 cm). Più punti la stampante riesce a definire su una lunghezza di un pollice e meglio l’immagine sarà definita. In maniera simile si parla ad esempio di PPI (Pixel Per Inch, ossia pixel per pollice), per la qualità di una immagine a video.

Immagini bitmap: la fotocamera digitale

Le fotocamere digitali (come quelle disponibili sugli smartphone) sono dotate di un sensore. Il sensore serve ad effettuare la conversione fra segnale luminoso e segnale elettrico. La risoluzione del sensore si misura in pixel totali, intendendo per pixel la più piccola unità distinta dal sensore durante l’acquisizione; la misura è spesso espressa in megapixel, ovvero milioni di pixel.

Un ADC (Analogic Digital Converter) è un convertitore analogico/digitale che trasforma poi il segnale elettrico in digitale; l’immagine ora è in formato RAW, ovvero in formato grezzo (si noti che questo formato, spesso disponibile solo sulle fotocamere digitali professionali, può cambiare a seconda della marca della fotocamera ed è solitamente preferito dai fotografi perché permette scatti molto veloci ed accurati, rimandando poi l’elaborazione dell’immagine e la compressione successiva ad un PC, piuttosto che farla direttamente sulla fotocamera, impiegando tempo, risorse e batteria).

Nelle fotocamere non professionali le immagini vengono subito compresse nel formato jpeg (*.jpg) e salvate sulla scheda di memoria. Le immagini in formato jpeg possono contenere i dati Exif (Exchangeable image file format), ossia tag di metadati come ad esempio

  • geolocalizzazione (dove è stata scattata la fotografia)
  • data e ora dell’immagine,
  • modello e produttore della fotocamera,
  • informazioni tecniche relative alla fotocamera e all’immagine, come:
    • orientamento,
    • apertura,
    • velocità dello scatto,
    • lunghezza focale,
    • bilanciamento del bianco,
    • velocità ISO,
  • informazioni di copyright

Immagini bitmap: lo scanner

Uno scanner è una periferica per acquisire immagini. Il processo di acquisizione si dice digitalizzazione, da cui il verbo digitalizzare.
Maggiore è la precisione dello scanner, migliore è il risultato; la precisione viene misurata da tre elementi:

  1. la risoluzione hardware è la precisione con cui lo scanner legge effettivamente l’immagine; si misura in DPI (Dots Per Inch) come per le stampanti; può essere ad esempio 300 DPI
  2. l’interpolazione software è un processo software per migliorare notevolmente la qualità dell’immagine digitalizzata; questo processo permette di portare la risoluzione a 4800, 7200 o 9600 DPI ecc.; queste ultime sono le cifre che si trovano sulle confezioni degli scanner (ad es. “ScanMagic 4800P”), nonostante l’effettiva risoluzione hardware sia molto più bassa
  3. la risoluzione in bit (o profondità di colore) è il numero di bit per memorizzare le informazioni di colore di un singolo punto (pixel).

Mediante un’applicazione OCR (Optical Character Recognition) si può convertire un documento grafico contenente caratteri (un’immagine appena digitalizzata ad esempio), in caratteri veri e propri, cioè in un documento di testo (*.doc, *.txt, *.pdf ad esempio); i documenti di testo così convertiti hanno due vantaggi: occupano molto meno spazio del loro equivalente grafico ed inoltre si possono modificare con un qualsiasi elaboratore testi.

Un software OCR specializzato nella lettura di questionari compilati a mano (tipo quelli delle schedine del Totocalcio) è detto OMR (Optical Mark Recognition).

Immagini vettoriali.

A differenza delle immagini bitmap, le immagini vettoriali non vengono memorizzate considerando i pixel, ma considerando le “forme” in esse contenute. Difatti queste forme componenti vengono salvate come composizione di forme geometriche basilari posizionate sul piano.

I software di riferimento sono Adobe Illustrator oppure Inkscape.

Alcune delle estensioni più comuni per le immagini vettoriali sono ai, svg.

Immagini digitali in movimento.

Sicuramente più note come “video”, le immagini digitali in movimento sono ottenute dalla giustapposizione, ad esempio, di 24 immagini fisse per un secondo di video.

Il valore 24 non è fisso ma è uno dei frame-rate (numero di frame=riquadri, immagini fisse al secondo) più diffusi.
Questo valore di frame-rate (che viene espresso in fps=frame per second) fa sì che il nostro cervello “unisca i puntini” ossia percepisca la sequenza di immagini fisse come una immagine in movimento.

Un altro valore importante da tenere a mente è quello della larghezza di banda, ossia della disponibilità e dell’ampiezza del canale che usiamo per trasmettere il video su una rete (cosa oggi abituale). Questa metrica detta anche velocità di trasmissione è il transfer-rate o bit-rate e si misura in bit al secondo e nei suoi multipli (spesso oggi in Mbps o in GBps).

Le principali fasi di lavorazione di un video sono:

  • acquisizione, in cui vengono effettuate le riprese
  • editing e post produzione, detto anche montaggio video (o video editing), si effettuano con un software per trasformare le riprese (di norma molto più lunghe del prodotto finale) in un video disponibile per il pubblico, con l’utilizzo di effetti e con l’aggiunta del suono; solitamente si parte da uno storyboard (uno schema a vignette che mostra i momenti fondamentali del video che si sta montando).
  • riproduzione e distribuzione, in cui viene reso disponibile il video realizzato

Dall’avvento del cinema ad oggi questa forma di comunicazione (che include anche l’audio) ha subito notevoli mutamenti (prima la televisione, poi i social) fino a divenire una delle più efficaci e diffuse.

I software di riferimento sono Avid Media Composer, Final Cut, Adobe Premiere.

Alcune delle estensioni più comuni per i video sono mpg, mp4, avi.

 

Bibliografia: Rossignoli, N., Introduzione al digitale, Lampidistampa, Milano, 2008

Immagine: Foto di Ree da Pexels